Proseguire ancora verso est per entrare
in Iran vorrebbe dire, infatti, aver bisogno di visti e autorizzazioni
speciali per la moto che richiederebbero un'attenta programmazione,
ed in ogni modo almeno 4-5 settimane di viaggio in totale
per rientrare in Italia via terra. Una cosa che promettiamo
di rimandare a viaggi futuri, noi che siamo partiti questa
volta un po' in fretta, con l'obiettivo di fare soprattutto
una visita a buoni amici conosciuti in viaggi precedenti in
altre parti della Turchia: Sinan e Suleyman, che commerciano
tappeti e vivono a Goreme, in Cappadocia, e Hasan, che ha
una locanda ad Istanbul ma ogni estate si trasferisce a Rize,
sul Mar Nero, per la raccolta del tè sulle sue proprietà;
dove è nato prima di trasferirsi con la sua famiglia
(come quasi tutti di questa zona) nell'impossibile metropoli
d'Istanbul che conta ormai più di 15 milioni d'abitanti.
Il nostro viaggio fin qui è stato preparato giorno
per giorno, con le informazioni raccolte sulla vecchia guida
del TCI che avevamo in casa e che abbiamo letto nella veloce
traversata dell'adriatico sul traghetto che da Ancona in una
notte ci ha portato ad Igoumenitsa, in Grecia. E con le indicazioni
forniteci dagli albergatori la sera per la mattina successiva,
e i consigli dei nostri amici di Goreme, che ci hanno persino
convinto ad un'escursione di una giornata all'interno delle
montagne vicine dell'Anatolia. Una giornata che, seppur inaspettata
e meravigliosa, si è rivelata un'autentica tortura
per la nostra moto: un vecchio BMW R 100 RT di quasi 20 anni,
ancora in gran forma ma non proprio ideale per le piste rocciose
che abbiamo dovuto (o meglio voluto) affrontare per 80 Km
prima di arrivare a destinazione, alle tre cascate che escono
direttamente dalla roccia ai piedi della montagna a Kapuzbasi.
Dopo aver attraversato impossibili piccoli paesi (che pareva
di essere in Afghanistan piuttosto che in Turchia, che vuole
entrare nella CEE), abitati da gente che non abbiamo capito
di cosa vivesse, su spoglie montagne rocciose e non coltivabili;
ma dove comunque sulle loro case di terra, con finestre senza
vetri e al massimo tende per ripararsi dal freddo d'inverno,
non mancavano mai le parabole per la televisione. Situazioni
che abbiamo visto anche dopo, soprattutto qui intorno all'Ararat,
e che mettevano tristezza: case di sterco e fango, donne che
lavoravano nei campi e portavano a casa in spalla il fieno
tagliato a mano, e uomini che invece ci osservavano passare,
distraendosi un attimo dalle chiacchiere che stavano facendo
davanti al bicchiere di tè nelle locande, simili solo
nella loro funzione ai nostri bar. Decine e decine di bambini,
alcuni anche molto molto piccoli, sui campi e a lato delle
strade a badare pecore e capre, qualche volta mucche, il più
delle volte in piccoli greggi per la sussistenza della famiglia.
Bambini che non parevano intenti a quel mestiere nelle vacanze
scolastiche, ma che davano invece l'impressione di non aver
mai visto una scuola… E nelle cittadine più grandi
e moderne, come Bitlis, Van, Diyarbakayr, Tatvan, il contrasto
tra le donne più anziane, tutte rigorosamente con il
fazzoletto in testa (ma a volte anche con la tunica nera che
lascia scoperto solo il viso) e le ragazze più giovani,
alcune anche con la gonna appena sopra il ginocchio. Senza
comunque arrivare a portare le minigonne che si possono vedere
ad Istanbul, città dove i contrasti sono molto più
grandi. E dove, passando velocemente sull'autostrada, abbiamo
visto comunque condizioni di vita completamente diverse da
queste, anche per i più poveri. E dove ci avevano colpito
le nuove zone residenziali in costruzione sulle colline, fatte
di piccole case colorate le une identiche alle altre, a centinaia
e distanti tra loro solo pochi metri, senza un giardino, una
pianta, un po' d'intimità. Veri e propri formicai,
o meglio alveari visti i colori sgargianti con cui venivano
dipinte…
Anche dopo Goreme, il nostro viaggio è
rimasto una piacevole improvvisata: il giorno dopo, ad esempio,
abbiamo provato ad arrivare al Nemrut Dagi in tempo per il
tramonto, ma i km erano troppi e non ci siamo riusciti, scoprendo
però in questo modo l'esistenza di due modesti ma decenti
hotel nella deserta valle rocciosa proprio a soli 8 km dalla
meta. La nostra guida invece consigliava di fermarsi nella
città di Kahta, a 40 km di distanza, dove, in effetti,
avevamo visto passando ottimi hotel. Incontrando così
nell'hotel anche i tre motociclisti inglesi che, semplicemente,
stavano andando in Australia in sella a tre Transalp, e che
ci hanno sorriso con un po' di commiserazione, a noi che stavamo
andando solamente fino al monte Ararat. Tutta una questione
di misura, in quel momento mi e' venuto da pensare con affetto
a Toblerone, un amico motociclista di Bologna con questo soprannome,
che una volta era arrivato persino al Lago Balaton, in Ungheria,
ma poi da li' non si era azzardato ad arrivare fino a Budapest,
che sarebbe andato troppo lontano da casa...........Il Nemrut
Dagi lo abbiamo così raggiunto la mattina per l'alba,
mettendo a dura prova un'altra volta la nostra povera moto
sulla ripida strada lastricata e sconnessa, e più di
una volta abbiamo temuto di non farcela.. Grande comunque
è stata la soddisfazione di essere arrivati fino in
cima. Impareggiabili le emozionanti sensazioni provate osservando
il mondo dall'alto insieme alle antiche statue volute nel
I sec A.C. da Antioco I ai piedi del suo tumulo funerario
di 150 m di diametro, alto 50 m e a quota 2150 m dal livello
del mare.
Senza un'approfondita preparazione abbiamo
però fatto anche degli errori grossolani, come quello
di perdere per soli 10 minuti, partiti proprio dall'hotel
al Nemrut Dagi, il traghetto sul grande lago Ataturk creato
con lo sbarramento artificiale del fiume Eufrate. Rimanendo
così ad aspettare e a cuocere, nell'unica giornata
veramente calda finora vissuta in tutto il viaggio. Nonostante
l'ombra dell'improvvisato bar e la simpatia dei ragazzini
curdi, a guardare i viandanti locali che, scesi dagli onnipresenti
minibus, si lavavano i piedi nelle apposite fontanelle. Un
rito che avevamo già' visto anche in quasi tutte le
stazioni di servizio. Sempre nell'attesa, avevamo avuto così
anche la possibilità di osservare da vicino una delle
tante piccole e antiquate motociclette a due tempi, tutte
rigorosamente dotate di carrettino (MOLTO diverso dai nostri
sidecar) che avevamo visto in giro a centinaia nei giorni
precedenti, stracariche di gente, foraggio, animali e merci
più strane. Sempre condotte da motociclisti senza casco:
non ne abbiamo ancora visto uno che lo portasse, e non siamo
ancora riusciti a capire se ne è obbligatorio l'uso;
ma a noi non interessa, tanto lo porteremmo comunque. Il tempo
dell'attesa del barcone non e' andato perso, ma e' stato prezioso
per riordinare i tanti appunti presi con il registratore fino
a quel momento per costruire, per l'anno prossimo, il road
book di una nuova motovacanza di gruppo per gli amici di 2000MOTO,
associazione della quale siamo tra i soci fondatori dal 1995.
Oltre Diyarbakir (e ci hanno detto sarà
così fin sul Mar Nero) ovunque grandi caserme piene
di militari e mezzi da guerra, da noi visti per fortuna solo
in televisione….Posti di blocco permanenti dei militari ogni
30-40 Km e negli incroci importanti, con tanto di carro-armato
e cinture chiodate pronte per essere stese in un attimo a
fermare chi volesse forzare il blocco. Accurate ispezioni
degli autocarri e degli autobus, turistici e di linea, ma
solo curiosità verso noi motociclisti ai quali al massimo
è stato chiesto dove andavamo e da dove venivamo, con
segni d'ammirazione quando sentivano che eravamo arrivati
fino a lì dall'Italia. Solo una volta nei 20 o 30 posti
di blocco che abbiamo incontrato ci sono stati chiesti anche
i documenti. Nonostante tutto, non si avverte comunque alcuna
tensione, il traffico e' molto scarso e non si hanno per questi
stop delle grosse perdite di tempo. I problemi interni in
queste zone sono sopiti con la resa del PKK dopo l'arresto
di "Apo" Ocalan, che con l'arma vigliacca del terrorismo
per anni ha rivendicato una maggiore autonomia dei curdi di
queste terre, che non si sentono turchi. Queste zone furono
annesse alla Turchia moderna nel 1923 dopo la disgregazione
dell'impero ottomano e le battaglie contro le potenze europee
che se lo volevano spartire, capeggiate da Mustafa Kemal "Ataturk
" (padre dei turchi) che e' ancora venerato nel paese
con un dio, nonostante sia morto nel lontano 1938. Il suo
ritratto e' ovunque, e non solo in tutte le banconote, che
hanno raggiunto ormai l'incredibile valore di 10 e 20 milioni
di lire turche, somma che però non basta nemmeno per
un pieno di benzina della moto (1 euro = 1.600.000 lire turche).
Tanto controllo militare è comunque giustificato dal
fatto che in questa zona la Turchia, e con essa tutto il mondo
occidentale a lei alleato, confina con diversi paesi in questo
periodo non proprio comodi vicini: Iraq, Iran, Azerbaigian,
Armenistan, Georgia.
Viaggiare in queste zone della Turchia ci
ha sempre piacevolmente sorpreso. Paesaggi che cambiavano
continuamente: dalle famose formazioni create dal vento e
dall'acqua in Cappadocia, alle distese erbose senza alberi
coltivate a foraggio nei territori attorno al lago Van; dalle
fertili colline piene di grano intorno a Diyarbakir, alle
nere ed impressionanti colate di lava tra Muradiye e Dogubayazit;
dalle montagne rocciose della zona di Goksun, spruzzate di
alberi né troppo lontani né troppo vicini tra
loro, ai colori della terra nuda arsa dal sole nella zona
di Kahta e del Nemrut Dagi. Buon asfalto quasi ovunque, indicazioni
stradali perfette, traffico molto scarso e corretto, temperature
ideali per una vacanza in moto (20-30° C) grazie alla
elevata altitudine alla quale ci si trova, quasi sempre oltre
1000 m sul livello del mare. Cielo perennemente turchino,
e la piacevole abitudine dell'omaggio del bicchierino di tè
tutte le volte che ci fermavamo a fare benzina. L'ospitalità,
la voglia di fare amicizia, lo sforzo continuo di comunicare
e di capire la nostra lingua, o l'inglese con il quale anche
noi abbiamo provato a comunicare con loro. I piccoli regali
che ci hanno offerto senza secondi fini ci hanno fatto sempre
sentire importanti e sicuri tutte le volte che siamo stati
in rapporto con loro, per comprare un poco di frutta per strada
come pure per chiedere un'informazione o fare appunto benzina.
Ieri, al lago di Van, se fossimo stati preparati
a questa possibilità, saremmo riusciti anche a fare
un bel bagno, che l'acqua salata era calda e la riva praticamente
deserta, ma non avevamo né costume né asciugamano,
che intendiamo comprare arrivati sul Mar Nero. Ed era anche
tardi, perché la mattina eravamo rimasti troppo tempo
dentro al cratere del vulcano spento Nemrut a Tatvan, a 3000
m, insieme ai pastori e ad ammirare il grande lago formatosi
al suo interno. E con la mente a quel pomeriggio, ci torna
anche l'ombra del sasso lanciatoci contro dall'incosciente
pastorello, che poteva al massimo avere 5 o 6 anni, mentre
sfrecciavamo ad oltre 110 km/h. Una pietra che se ci avesse
colpito ci avrebbe fatto un bel male, e che invece si e' limitata
a rompere una borsa laterale, grazie all'impatto dovuto alla
elevata velocità a cui andavamo. Abbiamo discusso tra
noi per 20 minuti se fosse stato meglio andare più
piano, che ci avrebbe colpito di sicuro ma con danni minori,
o invece accelerare ancora di più, che forse non sarebbe
riuscito a colpirci (ma se ci colpiva, c'era da lasciarci
le penne……….) E' stato comunque un fatto insolito, diverso
dai saluti che invece ci hanno mandato tutti gli altri bambini,
tanti, che abbiamo visto lungo le strade insieme ai loro animali.
E che comunque non deve stupire più di tanto, dal momento
che da noi, in Italia, si sono dovute arrestare delle persone
maggiorenni colpevoli dello stesso divertimento….. Noi abbiamo
dimenticato presto questo incidente, quando in serata dopo
nemmeno mezz'ora dal fattaccio, superate al tramonto le impressionanti
distese di lava sulle quali correva la strada, ci e' apparso
improvvisamente di fronte il biblico monte, ancora coperto
di neve. Che con le sue forme non nasconde a nessuno la vanità
dei suoi 5160 m d'altezza e la sua storia di ribollente vulcano,
dove sarebbe approdata l'arca di Noè dopo il diluvio
universale.
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