Non
è più necessario quindi che ogni due minuti
il sottoscritto, preoccupato, abbandoni la tavola per andare
a controllare che tutto sia ancora al suo posto. Ed è
solo l'inizio delle premurose attenzioni: a fine pranzo due
bicchierini di tè , omaggio gradito quanto inaspettato,
accompagnano il bigliettino da visita della sua modesta e
pulita "lokanta" e segnano indelebilmente nel nostro spirito
la voglia di tornare fra queste persone semplici dal cuore
in mano che suscitano questa spontanea simpatia.
Una
nostra cartolina di ringraziamento dall'Italia, come tante
volte succede senza seguito di ritorno dai viaggi, a testimonianza
del carattere della gente di Turchia è invece l'inizio
di una amicizia che cresce nonostante le incomprensioni linguistiche
grazie ad una passione da parte dell'amico turco Hasan quasi
commovente. Ed è l'inizio per noi, a nostra insaputa,
di questa avventura dieci anni più tardi all'interno
dei luoghi, dei pensieri e dei costumi delle famiglie islamiche
con sangue genovese che vivono in una zona della Turchia molto
bella e particolare; inspiegabilmente ignorata dai normali
flussi turistici e quindi ancora genuina.
IL
NOSTRO VIAGGIO
Manzini,
Manzini .... L'amico Hasan non imparerà
mai a pronunciare correttamente il mio nome. Abbiamo lasciato
gli ultimi turisti sull'autostrada fra Istanbul e Ankara e,
attraversate dapprima splendide regioni desertiche e in seguito
sporche cittadine costiere, siamo arrivati finalmente a Pazar,
paese sul Mar Nero a 8O Km dal confine con la Georgia. La
gente esce dai negozi per osservarci, viaggiatori su due ruote
guardati con malcelata invidia e manifesta simpatia. Timoroso
si avvicina un ragazzo a bordo di una vecchia moto Jawa: motosiklet
guzel, ciok guzel, ciok guzel..... (bella moto, molto bella,
molto bella......); intanto ci sorride e guarda incantato
la mole di bagagli e i dettagli della nostra BMW R 100 RT
che parla da sola della tanta strada che ha percorso nei suoi
intensi 14 anni.
Estranea
alle mete turistiche classiche e fuori anche da itinerari
internazionali, la regione costiera a est di Trabzon raramente
vede l'arrivo di turisti europei, e quando questo accade è
una festa. Avevamo già avuto questa impressione lungo
la strada, dove braccia agitate salutavano continuamente il
nostro passaggio e dove un paio di volte ci avevano offerto
il tè alle stazioni di benzina. O anche, come la sera
prima, quando il gestore dell'area di servizio ci aveva offerto
gratuitamente il giardino per campeggiare, sorvegliato tutta
la notte. Dove le figlie, simpatiche bimbette dal perfetto
inglese, avevano voluto a tutti costi montare la tenda e gonfiare
i materassini. Episodi che commuovono noi occidentali troppo
spesso abituati nei nostri luoghi a ricevere dal prossimo
indifferenza e scortesia.
A
Pazar, nel centro urbano, il disordine regna sovrano come
in tutte le altre cittadine che abbiamo attraversato. Un miscuglio
di persone e di oggetti che si muove in mezzo alle strade
e sugli ingombri marciapiedi rotti, dove senza criterio sono
affiancati negozi di fornai e saldatori, mobilieri e fruttivendoli.
Tutti assieme affacciati sulla carreggiata polverosa dove
transitano sgangherati taxi e minibus, auto private, piccole
motociclette, grossi camion carichi di tè e moderne
corriere dirette ad Istanbul ed Ankara. Case e alberghi abitati
prima di essere finiti e ormai già vecchi, lavori stradali
iniziati e lasciati incompiuti, nuovi palazzi costruiti di
recente o in costruzione a meno di 10 metri dal mare, immondizia
accumulata nei triangoli di terreno rimasti tra le case o
tra le case ed il mare. La mancanza assoluta delle elementari
norme di rispetto della pulizia dell'ambiente è l'aspetto
negativo che più ci colpisce, indice del forte scompenso
esistente fra oggetti moderni e antichi costumi. Il consumismo,
con le bottiglie, le buste di plastica e tutti gli altri imballaggi
non biodegradabili che lo accompagnano è arrivato anche
qui prima che di pari passo cambiassero le usanze e crescesse
la coscienza della gente, e il risultato è deprimente.
Non esistono discariche controllate, anche le immondizie raccolte
dai cassonetti vengono depositate in un piazzale a fianco
della strada a 2 Km dal paese. Gli uccelli, gli altri animali
ed il vento provvedono a spargere quello che è stato
accumulato. L'odore è pungente e si avverte da lontano.
Al viaggiatore, noi compresi, il primo impatto è spaventoso
e viene voglia di tornare indietro, a ritrovare quelle località
della Turchia già conosciute dal turismo dove la necessita'
di mantenere un ambiente presentabile sta lentamente facendo
cambiare questi pessimi costumi. Ma per fortuna l'amicizia
ci costringe a rimanere nei luoghi.
Pochi
Km a sud della strada costiera infatti, inoltrandosi nelle
strade che terminano sulle alte montagne, lasciati gli orrori
urbani il paesaggio è incantevole e unico. Un mare
verde di lucide distese di cespugli di tè , tutti deliziosamente
tosati, ricopre le ripide montagne segnate da impetuosi ruscelli
e punteggiate di case. Abitazioni apparentemente isolate le
une dalle altre in realtà collegate da una ragnatela
di strade e sentieri invisibili grazie alla folta vegetazione.
Dalla strada di fondovalle, asfaltata, occorre salire una
qualsiasi delle strade sterrate che salgono ripide e piene
di tornanti per vedere da vicino questi meritevoli e unici
luoghi. Incontriamo vecchi camion che perdono foglie di tè
sulla strada mentre rudimentali teleferiche spostano grosse
ceste da un punto all'altro della montagna per avvicinare
il raccolto ai magazzini. Centinaia di foulard colorati nel
verde: sono le teste delle donne, curve a tosare con cura
gli arbusti con i grandi forbicioni. Molti uomini sfaccendati
spendono il tempo nei "cafè" annessi ai magazzini in
attesa di rovesciare stancamente il carico dentro ai cassoni
dei camion. Intanto rudimentali carriole a ruote stracolme
di sacchi di tè , trattenute a fatica da anziani o
ragazzini, scendono per le ripide strade anch'esse dirette
al magazzino di raccolta, centro anche dei rapporti fra le
persone nei momenti di attesa della pesatura delle foglie
di tè .
Due
o tre giorni sono necessari e trascorrono piacevolmente. Nella
nostra permanenza siamo avvantaggiati dalla presenza dell'amico,
ma, nei momenti in cui con la motocicletta ci spostiamo da
soli per "tranquilli" tours nelle montagne circostanti, ci
rendiamo conto che se anche fossimo arrivati sconosciuti non
avremmo avuto un'accoglienza molto diversa. Se mai avevamo
ancora dei dubbi sull'ospitalità turca , questi sono
finiti. Dovunque ci fermiamo per chiedere informazioni o solo
per fotografare siamo trattati come fossimo parenti.
Le
strade asfaltate dei fondovalle terminano 30-40 km dal mare,
dove finiscono le condizioni idonee alla coltivazione del
tè . Da li' proseguono per decine e decine di Km carreggiate
sterrate che raggiungono sperduti paesi abitati solo nei mesi
estivi dai proprietari di mucche "in trasferta". Noi non ce
la sentiamo di affrontare queste "strade" con la nostra motocicletta,
ci vorrebbe una potente enduro. Esiste comunque, anche se
ancora ci sembra impossibile, un servizio plurigiornaliero
di minibus che collega queste remote località con le
cittadine costiere. La strada è indescrivibile, scavata
fra l'impetuoso torrente e il fianco franoso della montagna.
Ponticelli di legno superano più volte il fiume, e
tutte le volte qualcuno deve scendere per controllare dove
poggiano le ruote del minibus. Lungo la strada resti di fortezze
e ponti costruiti all'epoca della Repubblica marinara di Genova.
Qualcuno è anche in ottimo stato, e l'autista del minibus,
quasi fosse un taxi privato, divertito ci lascia il tempo
di visitarlo mentre gli altri passeggeri, per niente disturbati,
aspettano. La costa del mar Nero ed in particolare la regione
di Pazar e Rize sono state sotto il dominio dei genovesi per
diverso tempo, ed oltre a resti storici a testimonianza di
questo è rimasta anche la fisionomia della gente, molto
simile agli italiani, ed un dialetto (Lazi) miscuglio di parole
turche, russe ed italiane. Ad esempio "mangiare" è
rimasto "giare" nel dialetto Lazi, come anche "gato" (gatto)
e "lamba" (lampada): sono solo alcune delle parole simili
all'italiano che riusciamo ad imparare e che nella lingua
turca sono invece estremamente diverse. Anche nella cucina
ritroviamo alcuni piatti caratteristici che ricordano più
la cucina italiana che quella turca. Gli abitanti di queste
regioni sono fieri di queste origini e del loro dialetto,
ed è con orgoglio che mostrano i resti dei loro antenati
genovesi.
Oltre
il limite della vegetazione la strada raggiunge a quasi 3000
metri di altezza un vero e proprio paese, Yayla, abitato nei
mesi estivi da pastori e bovari. Tante piccole baite e antiche
stalle, una moschea, un "supermarket" e anche una modesta
costruzione con la scritta Hotel. Prezzo di una camera: l'equivalente
di 5000 lire italiane per notte. Se la strada che abbiamo
fatto per arrivare, fra guadi e ponti di legno è un
sogno per tanti fuoristradisti nostrani, le alte montagne
che circondano la piana di Yayla sono un paradiso per gli
escursionisti a piedi ed in bicicletta. Ma di turisti solo
noi e una coppia inglese che arriva alla sera con le mountain-bike
caricate nel minibus. Gli escrementi delle mucche sono accuratamente
stesi sui sassi e contro i muri delle case. Quando saranno
asciutti saranno usati nelle stufe come combustibile. Usanze
ormai perdute anche sulle nostre montagne più isolate.
Torniamo
a Pazar e prima di lasciare gli amici, ciliegina sulla torta,
dobbiamo partecipare ad una cerimonia di fidanzamento. Una
sera, in 25 dentro un minibus da 12 posti, scendiamo ripidamente
a valle e ci spostiamo nel versante opposto. Siamo con gli
amici e i parenti del "fidanzato" e ci stiamo recando all'abitazione
della ragazza, dove avverrà la cerimonia. Fino a quel
momento i due giovani si sono scambiati soprattutto sguardi,
e solo dopo la cerimonia avranno il permesso di frequentarsi
e parlarsi, sempre comunque in pubblico. Giunti alla casa
uomini e donne si dividono e occupano due piani separati:
solo verso la fine della cerimonia in occasione di brevi danze
nel cortile esterno balleranno assieme; i due gruppi comunque
resteranno ben divisi. La cerimonia è sontuosa e si
conclude con lo scambio degli anelli uniti dapprima da un
filo di lana rosso che viene simbolicamente tagliato, quasi
a rammentare che l'unione vera e propria dovrà ancora
aspettare. Il matrimonio dovrà essere celebrato entro
due anni e da quel momento la ragazza apparterrà a
tutti gli effetti alla famiglia natale dello sposo, godendo
dei capitali di lui e perdendo di diritto invece i capitali
del padre che spettano in eredita' ai fratelli maschi, a meno
che non si rompa il fidanzamento e lei rimanga nella famiglia
natale.
Intanto
è venuto il momento di lasciare gli amici turchi. Rimane
giusto una giornata per visitare uno dei tanti stabilimenti
di essiccazione del tè e alla sera partecipare alla
cerimonia di nozze di un altro amico.
Abbandoniamo
Pazar e torniamo sui nostri passi fino a Trebisonda (Trabzon),
da dove pieghiamo verso sud con una sosta di alcune ore nel
celebre monastero di Sumela, vecchio di quasi 1500 anni e
incastrato nella roccia in una vegetazione che ricorda quella
delle nostre alpi. La strada proseguirebbe verso Erzurum,
ma siamo sconsigliati per via di possibili problemi per turisti
solitari (i curdi sono in agitazione). Ritorniamo quindi verso
il mare su una strada che contrariamente a quanto indicato
dalla cartina troppo tardi si rivela ancora in costruzione
e per via delle buche finisce per arrecare seri danni ai portabagagli
della moto e agli ammortizzatori.
Mentre
nella zona di Pazar e Rize le montagne vicino al mare sono
ricoperte di cespugli di tè , a ovest di Rize e di
Trabzon sono invece ricoperte di immensi boschi di noccioli.
È tornato il sole e tutti sono al lavoro, la storia
pero' si ripete: sono soprattutto donne quelle che vediamo
cariche di sacchi aspettare il camion che le porterà
in paese. Sulla costa, nei marciapiedi lungo il mare, ci sono
chilometri di nocciole stese ad asciugare al sole, apparentemente
alla mercè di tutti ma in realtà strettamente
sorvegliate.
Prendiamo
finalmente la strada verso il centro dell'Anatolia. Superato
il valico la regione diventa improvvisamente desertica, probabilmente
perché le precipitazioni si scaricano tutte nel versante
montano che guarda il mare. L'assenza di vegetazione permette
alla terra di manifestarsi in tutti i suoi colori, che vanno
dal nero al giallo spesso in suggestivi e affascinanti mosaici.
Non ci sono più case sparse, e la vita è concentrata
in piccoli paesi che vivono ancora di un'agricoltura tradizionale;
molti trattori, ma anche tanti carretti di legno trainati
da muli e asinelli. Nei campi bruciati dal sole qualche bovino
al pascolo, e pecore. Un capovaccaio, bianco avvoltoio ormai
scomparso in Italia, abbandona la sede stradale poco prima
del nostro passaggio. Ai lati della strada tre cani rinselvatichiti
stanno divorando i resti di una pecora mentre poco più
avanti la carcassa di un asino, morto forse dal caldo e dalla
fatica, aspetta il suo turno. I pastori nel fiume secondo
un costume da noi ormai scomparso stanno lavando gli animali
per prepararli alla tosa, e la cosa ci affascina e ci costringe
ad una sosta. Questa gente che vive un'esistenza povera ma
dignitosa ci invita comunque a dividere quello che ha, del
pane schiacciato che a noi ricorda lontanamente la nostra
pizza priva di qualsiasi condimento. Su una strada solitaria,
prima di arrivare a Sivas, un'automobile dapprima ci sorpassa
poi chiede che ci affianchiamo: la mano di un bimbo fuori
dal finestrino, quasi fosse un rifornimento volante, vuole
regalarci un sacchetto di uva già lavata e pronta per
essere mangiata. Non ci era mai successo da nessuna altra
parte in Europa e mai lo dimenticheremo. Ai lati degli interminabili
rettilinei che tagliano l'altopiano prima di Kayseri anche
i resti di alcuni caravanserragli vecchi di oltre seicento
anni, in parte restaurati, antichi rifugi posti sulle piste
carovaniere. Nei piccoli paesi migliaia di albicocche sono
stese a seccare sulle assolate coperture a terrazza delle
case.
A
Urgup, Cappadocia, di nuovo l'ingresso nella Turchia turistica,
quella riportata sulle guide e da sempre conosciuta. Qui la
gente, comunque cordiale, si è po' raffreddata, ma
in compenso l'ambiente è più pulito. L'occidentalizzazione
dei costumi ha i suoi lati negativi e positivi. Due giorni
in Cappadocia a noi bastano e avanzano. Una corsa quindi in
moto sul lago salato (Tuz gol) e sulle piste di sabbia che
lo circondano per poi scendere al mare. Una puntata verso
le cascate calcaree di Pamukkale, vero esempio di incivile
sfruttamento di una meraviglia della natura, ancora qualche
giornata di sole e di mare poi un rapido rientro in Italia
attraverso la Grecia lungo la stessa strada compiuta all'andata.
IL
TÈ .
La
pianta del tè (Camellia sinensis) è un
arbusto perenne sempreverde a foglia larga, lucida, di un
bel verde brillante, di circa 50 - 100 cm di altezza appartenente
alla famiglia delle Theacee (ordine Guttiferales) cui appartiene
anche la Camelia (Camellia japonica)
Introdotta
in Turchia nel periodo compreso fra le due guerre mondiali,
nelle montagne che guardano il Mar Nero (nel tratto compreso
fra la città di Rize e il confine orientale) la coltivazione
del tè ha rapidamente sostituito le preesistenti colture
agricole (mais, cereali, tabacco) che per le caratteristiche
morfologiche del territorio a fatica permettevano economie
di pura sussistenza. L'assoluto predominio della coltivazione
del tè in questa regione è dovuto essenzialmente
alla elevata piovosità' dell'area, oltre ad altri fattori
quali terreno e temperatura ideali. Il contrasto creato dalla
estrema vicinanza fra il mare e le alte montagne (il Kackar
Dagi sfiora i 4.000 m ) e la posizione geografica particolare
infatti rendono questa zona la più piovosa in assoluto
di tutta la Turchia, con un livello di precipitazioni annue
che assomiglia a quello del nord britannico.
La
raccolta e la lavorazione del tè iniziano verso la
meta' di maggio allorquando i cespugli, allevati in strettissimi
filari a tappezzare le impervie colline, subiscono una prima
tosatura che asporta i giovani germogli ed i fiori. Le abbondanti
precipitazioni consentono alle piante di produrre in tempi
brevissimi nuove foglie che vengono periodicamente e ripetutamente
asportate fino al termine dell'estate. In genere sono possibili
ogni anno tre tosature a distanza di circa 30 gg l'una dall'altra.
La
raccolta del tè , pur essendo estremamente faticosa,
è per tradizione riservata alle donne che si trovano
quindi nel periodo estivo con una mole di lavoro enorme dovendo
comunque provvedere agli altri compiti ad esse riservati:
la cucina, l'accudimento dei figli, della casa e del bestiame.
Gli uomini non impiegati negli stabilimenti di essiccazione
passano la giornata a sorvegliare i figli più piccoli
e stancamente partecipano alle operazioni di consegna del
raccolto nei magazzini fra una partita a carte e due chiacchiere
nei "bar" a questi annessi.
La
tosatura delle foglie del tè avviene manualmente con
grosse forbicione del tipo di quelle da noi utilizzate per
tosare le siepi. La forbice è munita di un piccolo
sacchetto nel quale cadono le foglie, che vengono poi depositate
in una grossa cesta o in un sacco. Quando questa è
piena le tosatrici se la caricano sul dorso e lentamente raggiungono
il magazzino. A volte nei tratti più impervi sono presenti
rudimentali teleferiche mosse da motori elettrici. Nel centro
di consegna il tè viene pesato e caricato su grossi
camion per essere portato negli stabilimenti di essiccazione.
La massa di fogliame viene costipata alla buona nel cassone
del camion con il calpestio di un gran numero di persone,
in genere ragazzi. Coperta quindi alla meglio con un telo,
affinché il vento non la disperda, raggiunge rapidamente
le fabbriche poste a pochi metri dal mare lungo la strada
costiera di grande comunicazione con le città poste
ad ovest .
Nello
stabilimento di essiccazione le foglie del tè subiscono
alcune semplicissime operazioni. Scaricato a mano su stretti
nastri trasportatori il raccolto viene distribuito in strato
sottile all'interno di lunghi ventilatori dove viene rapidamente
asciugato dall'umidita' che bagna le foglie. Di qui, ancora
verde, finisce dentro a grosse macine che in più fasi
lo frantumano grossolanamente. Dei rudimentali carrelli lo
portano quindi nei forni di essiccazione. All'interno del
forno un telaio ripiegato viene caricato manualmente con un
sottilissimo strato di foglie triturate: dalla parte opposta
il telaio scarica di continuo in un nastro trasportatore le
foglioline essiccate. L'ultima fase della lavorazione è
la vagliatura mediante la quale il tè viene diviso
in 7 qualità diverse a seconda della dimensione dei
frammenti. Quello migliore è quello più fine.
Il confezionamento di solito avviene in altri stabilimenti
nelle grosse industrie attorno alle principali metropoli (Istanbul,
Izmir, Ankara). Nel periodo della raccolta le fabbriche organizzano
il lavoro su tre turni di 8 ore ciascuno funzionando quindi
24 ore su 24. Terminata la stagione della raccolta lo stabilimento
chiude.
Con
un po' di faccia tosta e un'espressione simpatica si riesce
ad ottenere con facilita' il permesso di visitare i locali
con le varie fasi di lavorazione. Molti degli stabilimenti
sono di proprietà dello stato. Per ragioni di sicurezza
e riservatezza è normalmente vietato fotografare.
Tutte
le fasi, dalla produzione alla lavorazione, avvengono manualmente
e senza l'impiego di sostanze chimiche, fatto che rende il
prodotto di questa zona pregiato e salutare. La produzione
della regione copre in massima parte il fabbisogno di tè
della Turchia; le qualità più pregiate sono
anche esportate.
I
Turchi fanno un gran uso di tè , che preparano in modo
particolare, quasi fosse un rito, e bevono con l'aggiunta
di solo zucchero. Un sorso di tè servito nei caratteristici
bicchierini e piattini è sempre la miglior scusa per
concedersi un attimo di relax e per dimostrare affetto e simpatia
al forestiero.
BREVI
CONSIGLI TECNICI RELATIVI AL VIAGGIO.
La
stagione migliore per visitare la regione del tè è
ovviamente il periodo estivo, quando la vegetazione è
esuberante ed il raccolto in atto. Molte famiglie terminata
la campagna abbandonano le case e i terreni ereditati dai
nonni per recarsi nelle grandi città (Istanbul, Ankara,
Izmir) dove vivono per il resto dell'anno di altri mestieri.
Inoltre la neve rende inaccessibili le alte montagne.
Dalla
cittadina di Pazar per raggiungere le baite di Yayla occorre
proseguire per 20Km quasi fino all'abitato di Ardesen, dove
sulla destra una comoda strada asfaltata termina nel paese
di Camlihemsin. Se non si dispone di un mezzo fuoristrada
è consigliabile lasciare l'auto e prendere uno dei
minibus che due- tre volte al giorno si recano alle baite.
Sono necessarie almeno 4 ore di bus. Sul percorso i resti
ben conservati di alcune fortezze genovesi e almeno 6 ponti
di pietra in perfetto stato.
Escursioni
in zone montane sono comunque possibili anche dall'abitato
di Hemsin, 15 Km a sud sulla strada che inizia dal centro
di Pazar.
Economiche
guide alpine o comunque informazioni per organizzare escursioni
al KACKAR DAGI (m.3927) è possibile ottenerle al seguente
indirizzo:
HEMSIN
YAYLA TUR Tourism & Travel Agency, Ataturk Caddesi No
74 53550 Hemsin Rize Turkey
Tel
0090.464.6412374-6412447 Fax 0090.464.6412197
Lo
stato delle strade in Turchia è buono, a meno di non
incappare in quelle ancora in costruzione magari segnate come
già terminate sulle cartine, non proprio precise al
riguardo. Il traffico è caotico solo sulle grandi arterie
e vicino alle città. Particolare attenzione ai mezzi
pesanti (autobus e autotreni) che normalmente viaggiano sui
lunghi rettilinei a velocità elevatissime: spesso si
buttano in sorpasso ignorando completamente i mezzi leggeri
(specie motociclette) che sopraggiungono in senso opposto.
Assolutamente sconsigliabile viaggiare di notte. La benzina
è di qualità leggermente scadente rispetto alla
super che si trova in Italia, ma ha il grosso vantaggio (agosto
1994) che costa l'equivalente di poco meno 1.000 lire al litro.
Le stazioni di servizio sono ben distribuite anche se può
capitare di non trovare la benzina super
I
campeggi sono rari lungo la costa del Mar Nero o addirittura
assenti nelle regioni interne. Alcune aree di servizio dispongono
di piccoli giardini che offrono al campeggiatore di solito
gratuitamente. I campeggi attrezzati nelle località
turistiche invece hanno prezzi normalmente più alti
che i modesti alberghi della stessa zona. Questo discorso
vale anche e soprattutto per la Cappadocia.
In
Cappadocia è preferibile pernottare nelle vecchie ma
pulite pensioni di Uchisar, piccolo paese praticamente ignorato
dal turismo di massa, piuttosto che nei "costosi" e moderni
Hotel di Urgup e Goreme distanti da questo solo pochi Km.
La
via più breve ed economica per raggiungere la Turchia,
a parere personale, si serve di un traghetto dall'Italia (Ancona
o Brindisi) fino a Igoumenitsa (Grecia) dalla quale superata
la zona delle Meteore e Salonicco ci si immette sulla lunga
strada che passa da Kavala e Alexandroupolis terminando ad
Istanbul. In totale da Igoumenitsa sono circa 1200 Km di strada,
escluso il tratto delle Meteore, molto veloce.
Le
formalità doganali turche per gli Italiani sono ridotte
anche se è indispensabile pagare 5 dollari a testa
per il visto di ingresso. Veramente stupida e razzista invece
la doccia di disinfettante a cui le autorità greche
sottopongono tutti i mezzi (motociclette e motociclisti compresi!!!!)
che transitano in senso opposto provenienti dalla Turchia
DINO MAZZINI. |